Mamma con bambino

di Sara Fabrizio – giornalista, pubblicista sarafabrizio27@gmail.com

Della guerra e delle sue immagini ormai ne abbiamo gli occhi pieni. Da sempre, perché certo non si può dire che anche prima della guerra in Ucraina non fossimo abituati a vederle, ci troviamo di fronte ad immagini che scuotono le nostre coscienze per qualche minuto, salvo scrollare i feed dei social o cambiare canale in un mix di frivolezza e angoscia, di sacro e profano. Io personalmente ero così piena d’immagini terribili che, allo scoppio dell’ennesimo conflitto, ho deciso di proteggermi.

L’empatia va dosata se non vuoi che ti sovrasti.

Ho cercato di stare alla larga dalla sofferenza delle popolazioni coinvolte nel conflitto in Medio Oriente per non venir triturata nel calderone delle emozioni, anche perché la storia di Israele e Palestina è stata parte del mio programma di studi all’università e questo ha creato in me una sorta di legame emotivo proprio con la loro storia credendo sempre che la soluzione fosse quella di “due popoli e due Stati”.

Ma un paio di sere fa, guardando X (Twitter per intenderci), è successo

La mia corazza è caduta di fronte ad un’immagine, un breve video, in realtà, non più cruento né più raccapricciante degli altri ma intriso di un amore disperato senza tempo e senza eguali. Una giovane madre, capelli coperti, viso pulito, abito marrone, accucciata. Cullava e sussurrava parole senza suono ad un sacco bianco. Dentro quella plastica tutto il suo mondo, tutti i suoi progetti, tutto il suo futuro. In quelle brevi immagini ho visto tutto il dolore del mondo, e non mi sono chiesta se quel corpicino o se quella madre fossero israeliani o palestinesi. Ho solo percepito l’angoscia che è propria dell’umanità, quella che può provare, in ogni parte del mondo, una madre quando vengono spezzate le ali del proprio figlio o della propria figlia.

Ho pianto insieme a lei.

Ho pianto per lei.

Per il suo bambino o la sua bambina.

Ho pianto per me, per i miei figli, per l’umanità intera perché non fermarsi davanti a quel dolore rende inutile ogni cosa, persino svegliarsi il giorno dopo.

E anche se so che queste parole cadranno nel vuoto come quelle di altre persone molto più importanti di una semplice cittadina, in nome di quel briciolo di umanità che è rimasta, fermatevi, nel nome del Dio in cui credete.

Commento: La morte di un/a figlio/a è qualcosa di straziante ,  dopo si sopravvive, ma nulla è più come prima. Se questa è la normale reazione in tempi “usuali”, in un clima di guerra   , in cui la morte è spesso fattore comune, lo è ancora di più. Paradossalmente , come mi ha raccontato una collega che è direttamente impegnata in Palestina, l’affermazione “perché è successo proprio a me” si somma alla paura del “perché non a me” in una spirale di dolore e sofferenza .